ALÉ!

Alé! incitazione, curiosità… che altro? Risate. Riecco Aringa e Verdurini insieme, storico duo di trentennale esperienza. Musica, comicità che arriva dal profondo e che profondamente fa ridere emozionare e talvolta anche commuovere. Perché la comicità è una cosa seria, molto seria se fatta con talento e professionalità, energia e rigore: quello che in questi anni gli ex Aringa e Verdurini alias Maria Cassi e Leonardo Brizzi hanno continuato a portare avanti sempre credendo fermamente nell’importanza del buon teatro e della buona musica. In Alè! Una sorta di piccolo “musical” si scherza attraverso personaggi gag musicali tormentoni, tic umani e non, passando attraverso arrangiamenti musicali che vanno dal jazz alla musica classica e popolare. Poche parole, ma come da solida tradizione di Maria Cassi in questo caso coadiuvata dalla musica del Maestro Brizzi si gioca con la capacità di farsi intendere e divertire da un pubblico internazionale e di ogni età.

LUCIFERO

Lucifero – drammaturgia poetica, dai toni crudi e surreali – mette in scena la caduta dell’angelo, facendo di questa caduta e di questa icona estrema la metafora della nascita. Nascita come ferita irrisarcibile, risveglio improvviso nella precarietà del corpo e nel subbuglio dei bisogni, un incarnarsi mortale e inerme, abbandonato a sé e incessantemente desiderante. Scostandomi completamente dal luogo comune del diavolo, ho avuto interesse ad esprimere, attraverso questo archetipo, la condizione di un’anima fragile ed eccedente, che si sfalda in un continuo passaggio tra onnipotenza e impotenza, preghiera e bestemmia, un ottovolante di opposti stati interiori, specchio del nostro ‘troppo umano’.

SUL PALCO

Gli spettatori, invece di accomodarsi in platea, sono invitati a ‘condividere’ il palco con l’attore, entrano dal retro, si siedono comodamente e respirano l’arte a sipario chiuso. L’attore è a due passi, ogni espressione, ogni batter di ciglio, ogni piccolo gesto non è perso da alcuna distanza. E in quel silenzio rispettoso e partecipato diventano essi stessi ‘attori’ di un testo meraviglioso, dinanzi ad una scenografia fatta da tende nere e grosse corde arrotolate e sapientemente fermate al muro, che raccontano di quanti pannelli hanno fatto scorrere negli anni, quante storie, quanti copioni, quanti attori hanno osservato e agito dietro quelle quinte e quel sipario.

DELIRIO A DUE – sgrosso

I protagonisti di questo travolgente scherzo teatrale di Eugène Ionesco non hanno un nome proprio, sono Lui e Lei, sono archetipi, incarnano meraviglie e orrori dell’essere due, contraddizioni e conforti dell’essere coppia e dell’essere soli. Hanno bisogno di mettere continuamente alla prova il loro legame e non trovano altra via per amarsi e sopravvivere che dare la colpa l’uno all’altro di ogni mistero della vita come il dolore, la morte, il tradimento. Si illudono così che potrebbero non esistere affatto, se soltanto lo volessero. Attraverso questo meccanismo, si chiudono in un eterno presente, una navicella di sicura inconsapevolezza che li traghetta attraverso l’esistenza. Soltanto i crolli e le esplosioni, pur sfiorando il grottesco, fanno presagire l’esistenza del tempo e della storia e il frantumarsi del mondo occidentale che Ionesco profeticamente disegna. I ridicoli battibecchi di Lui e Lei sono accompagnati dal controcanto di una guerra civile che divampa fuori del nido dove si consuma la vacua esistenza degli amanti, indifferenti alle bombe, alle sparatorie e alle stragi, quasi rassegnati al crollo di soffitti e pareti. Questo esterno negato rende tragicomico, e a tratti tenero, il loro dialogo intriso di ripetizioni rituali e non sensi, meccanismo inceppato che gira a vuoto, ma rassicura. L’appartamento è disseminato di trappole e percorsi cifrati, come dentro un gioco di ruolo che diventa reale. Lui e lei si sfidano con stratagemmi sciocchi, come spegnere la luce, cambiare di posto i mobili, confondere le informazioni. Mentono e rivelano, per ingannare angoscia e tempo. Ci raccontano la paura della solitudine, il bisogno di qualcuno che attesti la loro esistenza, l’irresistibile forza comica nascosta dentro le piccole tragedie quotidiane che spesso, nella loro apparente gravità, impediscono di allargare lo sguardo. Appaiono come fragili esseri alla ricerca di un senso e perennemente in attesa di una felicità perduta o rimandata. Misurano la reciproca resistenza, per essere certi della permanenza dell’altro finché morte non li separi.

BASTARDI SENZA OSCAR

Tre attori in scena interpretano tutti i film, le serie e le opere teatrali più importanti che fino ad ora erano solo un sogno, da Amleto fino al cinepanettone passando per la casa di Carta, il Padrino, Scarface, Gomorra, Mission impossibile, Romanzo Criminale, La grande bellezza, Kill Bill, ER e molti altri titoli tra i più famosi e conosciuti dal pubblico. Uno spettacolo esilarante, a tratti surreale, con toni di suspence e demenzialità. Una comicità a tutto tondo senza tralasciare alcune chicche e trucchi del mondo dello spettacolo che non tutti conoscono. Un po’ di informazione fa sempre bene. I tre in scena sono alla ricerca del testo perfetto per avere successo, il problema sono i loro obiettivi: Gian è orientato al teatro classico, Federico ambisce alla fama cinematografica mentre Alessandro si venderebbe anche per una televendita di materassi con Mastrota.

ICARO CADUTO

Lo spettacolo racconta il complesso, delicato e meraviglioso rapporto che lega un padre a un figlio, meglio ancora: un figlio a un padre. Ho immaginato quindi che Icaro volontariamente abbia cercato di far fallire il progetto del padre, avvicinandosi al sole per compiere un doppio intento: far fallire il progetto del padre ed esprimere finalmente se stesso. Come fanno i figli quando intendono con decisione far comprendere che è il momento di lasciarli andare. Come abbiamo fatto tutti noi quando abbiamo deciso che era il momento di recidere ogni legame col nostro padre e con la nostra madre. Uccidere quella cosa che ci unisce, che ci tiene legati a loro. Tradire. Ho preso a pretesto le due figure leggendarie di Dedalo e di Icaro perché servivano perfettamente al racconto che volevo costruire e ho guardato le loro vite, le loro storie, i loro dolori; attraverso il racconto li ho resi tridimensionali, li ho staccati dal mito per poter raccontare una storia senza tempo, mitologica. Ho scritto il testo mescolando diversi linguaggi: da un lato la lingua pugliese, dall’altro una lingua pulita, in endecasillabi a rima alternata, che richiama il classico nella sua forma nobile. Gaetano Colella

STASERA, PUNTO E A CAPO!

“Stasera, Punto e a Capo… Si mette un punto per ricominciare. Cominciare da capo, riprendere, ma non per forza facendo un passo avanti. Si può ricominciare anche tornando un po’ più indietro. Azzerando, portando a zero, cancellando, annullando quello che di buono non si è fatto. Quello che buono non è.E allora facciamolo: generazioni a confronto! Per capire se questa vita è quella che ci siamo scelti. Io un po’ la invidio la mia adolescenza, invidio i miei anni ottanta! Gli anni della fiducia, del benessere, della positività̀. I primi videoclip, gli Swatch, la New Wawe, il Commodore 64, il Muro di Berlino, Canale 5, la donna in carriera, il telefono a gettoni, Reagan e Gorbaciov. Vorrei uno spettacolo straordinario, una festa, un motivo per rincontrarsi e ridere di come eravamo, di quello che siamo diventati. Sarà uno splendido viaggio, fatto di parole, immagini e canzoni. Non vedo l’ora di stringervi, non vedo l’ora di buttarvi le braccia al collo…. se ce lo consentiranno, è chiaro. Buio in sala, che la festa cominci!” Massimiliano Gallo

LÀQUA

LàQua è un piccolo canto che riecheggia dalla pancia della mamma. E’ il suono del primo elemento che accompagna, protegge e culla la vita intrauterina. LàQua è il canto del primo viaggio che compie una creatura alla nascita. Un piccolo inno alla vita, all’acqua che la accompagna. Il titolo è una scomposizione sonora della parola “acqua” e rimanda al gioco di lallazione e sillabazione che accompagna la prima fase delle esplorazioni vocali. Il tessuto sonoro dello spettacolo è un canto polifonico che utilizza proprio la ritmica della lallazione, della sillabazione e della ripetizione. È il suono del primo elemento che accompagna, protegge e culla la vita intrauterina. È il canto del primo viaggio che compie una creatura alla nascita. Un piccolo inno alla vita e all’acqua che la accompagna.

TOTÒ DEGLI ALBERI

Chi non conosce “Il barone rampante” di Italo Calvino, quel curioso libro in cui si narrano le imprese di un giovane che dopo una lite col padre sale su un albero e non scende più? In uno strano teatro a cielo aperto, una famiglia di teatranti lavora alla messa in scena del celeberrimo romanzo, senza però riuscire ad andare oltre il prologo causa inevitabili litigi famigliari. Un rifiuto del figlio maggiore Totò finisce per trascinare tutti nella storia, in un gioco in cui il teatro diventa casa, albero, bosco, sulle orme delle vicende del barone di Rondò: un omaggio alla fantasia calviniana che da un racconto in un’osteria ha tratto il più arboreo dei racconti. Gli spettatori, in numero limitato, sono immersi nello spazio di azione degli attori. L’azione dello spettacolo si svolge in uno spazio scenico consistente in una struttura lignea a forma di minuscolo teatro all’italiana.

BRIGITTE ET LE PETIT BAL PERDÚ

Brigitte è un’anziana signora che vive sola con il suo cane, Bruschetta. Un giorno, aprendo un vecchio comò rimasto chiuso ormai da anni, ritrova al suo interno alcuni oggetti che hanno accompagnato il suo passato, fatto di amori, emozioni e avventure in giro per il mondo. Inizia così un viaggio a ritroso nei ricordi della protagonista. In un mondo che scorre in maniera sempre più frenetica, la storia di Brigitte si impone come un elogio alla lentezza, un invito ad apprezzare le piccole meraviglie della vita.  Questa è una delle tante piccole storie che spesso hanno come protagonisti anonimi e inconsapevoli personaggi, storie che rimangono stipate in un cassetto e che spesso vengono dimenticate.  Ma, se potessimo aprire questi spazi segreti che nessuno guarda più e potessimo dar luce a questi frammenti di vita, cosa accadrebbe?  Da questa domanda nasce l’idea di raccontare in uno spazio molto ristretto una microstoria della durata di 10 minuti. Per poter valorizzare questa dimensione cosi intima la visione è riservata a 4 spettatori alla volta