DOPPELGANGER

Il doppio, la dualità come differenza, l’opposto che dà origine al mistero: questo lavoro parla e dà forma soprattutto all’incontro tra i corpi dei due interpreti, Francesco Mastrocinque, attore con disabilità, appartenente all’esperienza del Laboratorio Permanente di Nerval Teatro e Filippo Porro, danzatore. Il progetto presenta anche la “prima volta” di una collaborazione tra due nuclei artistici differenti, che si incontrano nel solco tra arte e diversità, portando reciprocamente la propria esperienza e poetica della scena che, pur nella lontananza del segno, si alimenta e sviluppa attraverso la medesima sensibilità e passione. Un ossimoro in danza, un tentativo di svelare, tra sapiente ignoranza e disarmonica bellezza, il doppio viso della sfinge: due corpi diversi che cercano sulla scena l’origine della possibilità di esistere, una dirompente vitalità e un candore disarmante, attraverso l’astrazione della realtà che diventa visione. Due corpi uguali che si riconoscono e non smettono l’abbraccio, il mandala, la cellula che li lega. Due esseri primi, primati, ai loro primi passi; tra evoluzione e involuzione, scelgono l’inesistente “voluzione”: uno stare vicini senza l’andare. Senza il destino forzoso del crescere e del diminuire. Un percorso di gesti, sguardi; piccole, grandi tenerezze; beffardi e spietati tradimenti. Sempre in un precario equilibrio: funamboli, sospesi tra vita e morte, tra ascesi e caduta. Nel mezzo: le loro forme, colte nella fragilità dell’inestinguibile enigma della sospensione.

IL MALATO IMMAGINARIO – CATALYST

Si ride. Si deve ridere sempre, di tutto. Dei sotterfugi degli innamorati, di notai poco scaltri ma servizievoli, di mogli più inclini al tradimento che alle gioie coniugali, di dottori specializzati nella finanza più che nelle diagnosi, in malati affetti dalla paura di vivere. Così la feroce e disillusa comicità di Molière ci presenta un esempio lucido di un uomo dai tratti contemporanei, alle prese con un quotidiano, che allora come oggi, appare martoriato e, per tanti aspetti, ridicolo. Dalla poltrona del protagonista, dietro le centinaia di colorate boccette per medicinali, siringhe e clisteri, fanno capolino piccole ruberie, basse speculazioni e tradimenti di poco conto, in un curioso girotondo, che ha le movenze di un balletto di corte. In un susseguirsi incessante di botta e risposta, in cui le ragioni e le irragionevolezze dei personaggi danno vita ad un dibattito a tratti surreale, a tratti grottesco, emergono importanti riflessioni sulle relazioni familiari, sulla vita, sulle priorità dell’essere umano, e sull’importanza del raziocinio e del buonsenso. Dietro la commedia si nasconde l’amara rivelazione della tragedia della condizione umana, che è fragile e subordinata ad eventi incontrollabili.

LA FABBRICA DEGLI STRONZI

L’incontro sorprendente tra le compagnie Maniaci d’Amore e Kronoteatro, diverse ma accomunate da uno sguardo impietoso sul reale, ci porta in un mondo isterico, meschino, fatto esclusivamente di vittime. Siamo attorno alla salma di una donna. I tre figli devono lavarla, truccarla e vestirla prima del funerale. Mentre la preparano ripercorrono piccoli episodi significativi della vita famigliare. Si tratta di eventi neutri ma sempre vissuti come terribili abusi, alibi perfetti per continuare una vita senza responsabilità. Per questi personaggi la colpa di ogni loro sofferenza, frustrazione e sventura è sempre attribuita a qualcun altro: crudeltà dell’altro sesso, la ferocia dei bulli, il duro mondo del lavoro. Ma soprattutto, lei: la madre. A partire da alcune letture fondamentali, tra cui “Critica della vittima” di Daniele Giglioli e “La società senza dolore” di Byung-chul Han, lo spettacolo esplora, con livido umorismo e qualche baluginio di tenerezza, il paradigma vittimario così radicato oggi nella psicanalisi, nei media, nella famiglia, nel nostro modo di abitare il mondo. Lo stile sospeso, surreale, dei Maniaci d’Amore si sposa così, con quello abrasivo, amaro, di Kronoteatro, in un lavoro originale che esplora il gusto tutto contemporaneo di riconoscersi non in chi agisce ma in chi subisce, la gara popolare a chi sente di bruciare di più nell’inferno che sono gli altri.

LE MANI CHE VORREI

Le mani che vorrei è il racconto di un uomo costretto a fare i conti con la realtà di un mondo che si nutre di disperazione e ambizioni illusorie, generando violenza e sopraffazione. Lorenzo, nell’ultimo saluto alle colonne del vecchio mondo, racconta la sua evoluzione dal sonno alla ragione, attraverso l’inciampo della coscienza sul dissesto delle illusioni che ne avvelenano l’anima. L’ultimo saluto del narratore diventa occasione di riflessione sull’humus del male; sulla perseveranza dei giusti; sul potere della fede in un ideale di redenzione. Attraverso i frammenti di una quotidianità diluita negli anni, due fratelli cresciuti nello stesso ambiente, percorrono strade agli antipodi. Attriti e resistenze di due mondi inconciliabili si fondono all’amore senza tempo di una famiglia ridotta alla solitudine, e segnerà il percorso di un futuro incerto, ma necessario. Dino La Cecilia e Vincenzo Russo, attraverso i personaggi rispettivamente di Lorenzo e Rocco, esplorano nello spettacolo i demoni di una casa che tenta in tutti i modi di sopravvivere a un destino segnato dall’infamia, una casa come tante e come nessuna, nella cornice degli anni in cui la lotta tra stato e mafia si fa più cruenta. Molti gli spunti di riflessione che saranno dedicati alla figura di Francesco Marcone.

FRICHIGNO

Frichigno! è un monologo a più voci, ad alta voce su Foggia, la città abituata a indossare la maglia nera del Sole 24 Ore. Frichigno! è uno spettacolo sui luoghi da dove veniamo, che per raccontare Foggia si affida a due icone degli anni Novanta: Zdeněk Zeman e Kurt Cobain. Zemanlandia e Nirvana. Frichigno! è una pastiche teatrale che prende il nome dalla parola in codice, usata dai bambini foggiani quando, durante una qualsiasi partita di calcio di strada, il portiere tocca la palla con le mani, fuori dalla propria area. Cercando di non farsi vedere dagli altri. Frichigno! è uno spettacolo che per la prima volta porta in teatro la storia de La Società, la mafia foggiana. Frichigno! è il grido di gente innamorata della propria città.

IL SINDACO PESCATORE

Raccontiamo e soprattutto ricordiamo la storia di un eroe normale, Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, ucciso il 5 settembre 2010. Un uomo normale e straordinario in una regione malata e straordinaria come la Campania. Un uomo che ha sacrificato con la sua vita l’impegno di amministrare difendere e migliorare la sua terra e le sue persone. La sua opera di uomo semplice, onesto e lungimirante attraverso l’inizio della sua carriera politica, i successi straordinari ottenuti sul campo del Cilento nell’ottica del Bene Comune, compresa l’operazione Dieta Mediterranea assunta grazie a lui a Patrimonio dell’Unesco, fino al suo tragico epilogo.

PER GIOCO SOLO PER GIOCO

Una piccola stanza chiusa a chiave dall’interno, quella di Ludo (Ludovica), illuminata dallo schermo del computer e una piccola lampada, una luce fioca e nonostante tutto inutile visto che la nostra Ludo è “cieca” ma non nel senso di non vedente. Ludo passa gran parte del pomeriggio con il suo visore tridimensionale sugli occhi nel mondo che ha creato fatto a suo piacimento e misura. Ludo ha cambiato tutto partendo dal nome e poi il colore dei capelli, degli occhi si è fatta formosa, simpatica, intelligente e spiritosa. L’amica o la fidanzata che tutti vorrebbero ed infatti Ludo ha tanti amici e si concede anche più di un fidanzato, perché no. Ludo in particolare ha l’amica del cuore a cui confida sogni, passioni, amori e malesseri. Amica che conosce bene –  o almeno crede – a riportare Ludo alla realtà è a volte la voce della mamma, quella vera, tenuta fuori dalla porta. Mamma che è diversa, molto diversa da quella che Ludo frequenta nel suo mondo. Vince (Vincenzo) passa gran parte della sua giornata nel bar, tra slot, lotto e super enalotto. A vederlo vestito non si direbbe un perditempo è infatti un dottore ma anche un marito e padre la cui famiglia lo vede sempre meno perché preso dai suoi impegni professionali o almeno questo è quello che lui dice a moglie e figli quando risponde al telefono. Un uomo che per curiosità un giorno ha inserito una moneta in una slot e la fortuna o la maledizione lo ha voluto vincitore di una piccola somma ma l’emozione della vincita è stata forte e irripetibile fino a finire in mano a degli strozzini. Due storie che si incrociano per gioco, solo per gioco mostrano delle vite che vanno pian piano ad emarginarsi dagli affetti, dai rapporti che vanno a rovinare la vita reale costruita con fatica e impegno in favore di un bisogno fittizio creato per gioco, solo per gioco.

DENUNCIO TUTTI

 “Mi assumo tutta la responsabilità per l’omicidio di Lea Garofalo”. Così Carlo Cosco, ex compagno di Lea, confessa in aula il suo atroce delitto. Lea Garofalo è una testimone di giustizia e Carlo Cosco il capo del clan ‘Ndranghetista di Viale Montello a Milano. La ‘Ndrangheta è un modello di vita, una cultura, uno Stato nello Stato che spaccia, appalta e uccide e Milano è il centro degli affari e dello spaccio. Lea nasce in questo clima ma la sua voglia di libertà spacca gli schemi, è come sabbia nei meccanismi oliati della mafia calabrese, è un grido di aiuto e di verità che si eleva al di là delle istituzioni inermi e inefficaci. Da Petilia Policastro a Milano, in Viale Montello 6 fino alla sua morte, avvenuta in un appartamento di Via Prealpi e alla distruzione del suo corpo in un cantiere in Brianza. Milano è il centro anche della vita e della morte di Lea Garofalo. Perché quella che si ritiene una mafia minore, una mafia locale in realtà è la mafia più potente del mondo.

RACCONTO PERSONALE

Un racconto personale, come quelli che capitano in treno, in fila alle poste, in una sala d’attesa… Ogni volta che qualcuno ha voglia di ascoltare e si trova a scoprire quanto è diversa dalla nostra la vita degli altri, e quanto simili alle nostre sono le emozioni, i bisogni e l’istinto che la guidano.Abbiamo immaginato un evento simbolico, per pochi spettatori alla volta perché per raccontare la propria vita c’è bisogno dell’intimità che annulla le distanze. Mamadou è un giovane cittadino della Costa d’Avorio che si è messo in viaggio “senza motivo”: non c’era una guerra nel suo Paese, non era perseguitato, aveva addirittura da mangiare tutti i giorni, tre volte al giorno. Quella di Mamadou è una storia sfrontata e arrogante, che ci racconta di un ragazzo che ha semplicemente pensato di avere diritto a un’occasione nella vita per inseguire un sogno. Una storia lunga, che attraversa il deserto e che comincia con l’incontro con il trafficante più in gamba di tutta l’Africa: Sita la venditrice.

MANUALE DISTRUZIONE

“Manuale Distruzione” è la storia di un’attrice alla ricerca costante della sua dimensione artistica. Tutte le incertezze di Mariantonia scaturiscono dalla perenne propensione al raggiungimento della perfezione. La bellezza è l’ossessione di una donna che pur di piacere e di piacersi, inizia il macabro gioco dell’autolesionismo; entra così nel vortice della Bulimia combattendo tra amore e odio.