WASSILY B3 / EFFETTO LAZARUS

Wassily B3 è dedicato al movimento Bauhaus creato nei 150 anni dalla nascita del celebre compositore.Wassily B3 è il nome della celebre sedia disegnata da Marcel Breuer e dedicata a Wassily Kandinskij che ne acquistò il primo esemplare. Il movimento Bauhaus è riportato, nella coreografia, per i princìpi estetici che usano le deformazioni delle proporzioni umane e l’utilizzo dell’oggetto di scena che diviene protesi e propaggine funzionale del corpo. Il senso complessivo della performance ripercorre, seguendo le linee interpretative del Razionalismo, la creazione della vita, l’evoluzione delle specie, le relazioni sociali individuali e globali (guerra/pace). I personaggi e i quadri sono presentati in forma di “Parade” citando gli spettacoli dell’epoca e il surrealismo. Il salto evolutivo lo emana la stessa poltrona (come il monolite di Kubrick in 2001..) alla quale ci si confronta, ancora oggi, con atteggiamenti di inadeguatezza estetica e meraviglia per il concetto di modernità. Il contatto visivo ci impone inevitabilmente un balzo e una propulsione verso il futuro (futurismo).Il teatro della meraviglia diviene dunque scelta del linguaggio e tesi della coreografia. La poltrona Wassily B3 è protagonista astante, è scenografia sulla quale immaginiamo seduto il pubblico. Le immagini evocate generano allo stesso modo sorpresa in uno stadio inconscio tra l’incomprensione e lo stupore. Effetto Lazarus si ispira agli studi di Robert Cornish, lo scienziato che voleva riportare in vita i morti. La coreografia moderna e innovativa per linguaggio e costruzione è ambientata in un obitorio post-catastrofe dove dei corpi di giovani vittime vengono sottoposti al siero Lazarus del Dott. Cornish con l’intento di riportarli in vita. Le note sono della celebre Danza Macabra di Saint-Saëns.
UN SABATO CON GLI AMICI

“Un sabato, con gli amici” e un romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009. Appartiene a quel filone di produzione letteraria meno nota dell’autore, in quanto non legata alle ambientazioni siciliane cui e associata la sua fama e che, a torto, hanno finito per essere considerate, nell’immaginario collettivo, l’unico luogo narrativo della sua produzione letteraria.La vicenda e ambientata in un quartiere altoborghese di una grande città italiana. Tre coppie di amici si ritrovano a passare una serata insieme, come d’abitudine. L’impianto richiama subito l’immaginario di un interno borghese tipico della commedia classica anglosassone alla Neil Simon e proprio come una commedia d’altri tempi i personaggi si presenteranno a noi.Ma un evento improvviso finirà per far riemergere antichi e pericolosi fantasmi. L’occasione e data dalla presenza imprevista di un vecchio amico, riaffiorato da un lontano passato per chiedere aiuto e sostegno elettorale in vista della sua recente candidatura politica. La nuova presenza andrà a rompere gli equilibri faticosamente raggiunti dalle coppie. Ognuno dei protagonisti ha uno scheletro, piu o meno ingombrante, nell’armadio o si trova a fare i conti con un trauma irrisolto: chi conduce una relazione clandestina con un altro all’interno del gruppo, chi ha assistito a omicidi o suicidi, chi e stato violato nell’anima o nel corpo, chi anziche vittima e stato carnefice, ma ha avuto ugualmente una vita segnata.Sono temi complessi e affatto facili, che Camilleri ha avuto il merito di affrontare con una narrazione d’impatto e un linguaggio schietto, essenziale e realistico. I temi in campo sono di estrema attualità, il lavoro esplora la complessità della psiche umana, attraverso conflitti irrisolti, perversioni e deliri, la cui origine spesso risiede nei ricordi di infanzia, luoghi metafisici in cui la personalità e l’“io” si sono formati.Il lavoro di adattamento e di allestimento per il teatro, pur restando fedele all’intreccio e allo stile narrativo originali, ha puntato su una chiave di lettura ironica, per esprimere tutto il potenziale di gioco scenico del romanzo, con l’obiettivo di realizzare una black comedy noir dall’impianto squisitamente corale, in cui il dramma finisce con l’ insinuarsi inesorabilmente nelle trame della commedia. Questa fusione porterà la storia a prendere una piega sempre piu imprevedibile, destabilizzante e grottesca. L’apparente leggerezza dell’inizio cederà presto il passo al vissuto di ognuno e, in un crescendo di colpi di scena, si arriverà all’inevitabile atto finale, necessario a che l’equilibrio possa essere ristabilito. Quella che prende vita sulla scena e la rappresentazione del fallimento di una intera generazione, cresciuta a metà tra il vecchio e il nuovo millennio.
RICCARDO III

Cosa si è disposti a fare pur di ottenere il potere assoluto? E, una volta che lo si è ottenuto, a cosa serve se non a soddisfare i nostri più infantili e capricciosi desideri? Riccardo III è, fra i testi di Shakespeare, la più lucida e arguta rappresentazione del pensiero machiavellico e del cinismo del potere. L’opera è un vortice di vicende, una giostra di personaggi in cui la corona passa da una testa a un’altra. Vittime, complici e assassini, concorrono tutti insieme a dare vita a un affresco di una classe dirigente divorata unicamente dalla sete di potere e destinata ad assistere al trionfo del più perverso dei dittatori, il malvagio più malvagio della storia di Inghilterra, il deforme Riccardo di York. I secoli bui del medioevo stanno per tramontare e in Inghilterra, dilaniata da anni di guerra civile, è appena tornata la pace. La Guerra delle due Rose ha sancito la definitiva vittoria degli York sui Lancaster. Edoardo, ora, è il nuovo re di Inghilterra e tutti vorrebbero un lungo e produttivo periodo di benessere e tranquillità; ma nulla è più pericoloso della pace: sotto la cenere, cova il fuoco. Riccardo, duca di Gloucester e fratello del re, pur avendo giocato un ruolo fondamentale nella vittoria degli York, è stato ingiustamente escluso dal potere. Il risentimento verso suo fratello, come anche il desiderio di vendetta verso gli altri York è profondo e sconfinato. Ora il suo segreto obiettivo è diventare, a qualunque costo, re di Inghilterra. Pur di raggiungere il suo scopo, Riccardo mentirà, lusingherà e ucciderà. Mente a tutti, tranne che al pubblico, dichiarando apertamente, fin dal principio, il suo malefico progetto, nel tentativo di renderselo complice. Riccardo è ambizioso, perverso, rabbioso, manipolatore, ma è anche uno dei personaggi più seduttivi e affascinanti della storia del teatro mondiale. O forse Riccardo è semplicemente un uomo malato che non vuole più continuare a soffrire e che non chiede altro che di essere liberato, una volta per tutte, da quel corpo deforme che lo ha tormentato fin dalla nascita.
EDIPO RE

Considerato uno dei testi teatrali più belli di tutti i tempi, Edipo re di Sofocle rappresenta il simbolo universale dell’eterno dissidio tra libertà e necessità, tra colpa e fato. Arrivato al potere grazie alla sua capacità di “far luce attraverso le parole”, abilità che gli aveva permesso di sconfiggere la Sfinge che tormentava la città di Tebe, Edipo è costretto, attraverso una convulsa indagine retrospettiva, a scoprire che il suo passato è una lunga sequenza di orrori e delitti, fino a riconoscere la drammatica verità delle ultime, desolate parole del Coro: “Non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia arrivato il suo ultimo giorno”. In una città che non vediamo mai, un lamento arriva da lontano. È Tebe martoriata dalla peste. Un gruppo di persone non dorme da giorni. Come salvarsi? A chi rivolgersi per guarire la città che muore? Al centro della scena, al centro della città, al centro del teatro c’è lui, Edipo. Lui, che ha saputo illuminare l’enigma della Sfinge con la luce delle sue parole, si trova ora di fronte alla più difficile delle domande: chi ha ucciso Laio, il vecchio re di Tebe? La risposta che Edipo sta cercando è chiara fin dall’inizio, e tuona in due sole parole: “sei tu”. Ma Edipo non può ricevere una verità così grande, non la può vedere. Preferisce guardare da un’altra parte. Sarà la voce di Apollo, il dio nascosto, il dio obliquo, a guidarlo attraverso un’inchiesta in cui l’inquirente si rivelerà essere il colpevole. Presto si capirà che il medico che avrebbe dovuto guarire la città è la malattia. Perché è lui, Edipo, l’assassino e quindi la causa del contagio. La luce della verità è il dono del dio. Ma anche la sua maledizione.
DUO D’EDEN / GROSSE FUGUE / WEIRDO

DUO D’EDEN“Due corpi, come nudi, avanzano in scena, si avvinghiano l’uno all’altro e non si lasciano più. Un uomo e una donna con i corpi che si attirano e si aggrappano, congiunti l’uno all’altro fino a diventare indissolubili. Lei, una liana che si avvolge, si attorciglia. Lui che la tiene, la ritiene, la sostiene. C’è qualcosa di mitico nella loro danza, in questa fusione totale di due esseri che diventano uno per non separarsi più. Eden è l’amore originale, quello dei tempi dell’innocenza. C’è anche qualcosa di crudo e di primitivo, in questo duo. L’immagine dei rumori delle cascate e di temporali che compongono il suono della danza. Eden è una danza piena di forza e di bellezza, forse a causa di ciò che di naturale si sprigiona dal movimento della purezza e dalla precisione del gesto, dalle figure quasi plastiche, dalla potenza dei corpi. È da lì che sorge l’emozione. Da questa sobrietà che rivela l’essenziale. Se l’amore è una danza, è sicuramente Eden. Yasmine Tigoe GROSSE FUGUEQuattro donne e un brano musicale straordinario come Die Grosse Fuge: la personale lettura di Maguy Marin dell’opera di Ludwig van Beethoven, considerata una pietra miliare del rapporto tra musica classica e danza contemporanea, si basa su un dialogo costante, intimo, tra danza e musica, su un profondo legame tra le due arti. Realizzata nel 2001 per la C.ie Maguy Marin, viene riproposta nell’interpretazione di quattro danzatrici della MM Contemporary Dance Company: dall’incontro tra le quattro donne e la musica prende forma una complessità tra la crescente forza vitale dell’essere femminile e lo stato di entusiasmo e disperazione di questa partitura. La danza diventa un’esplosione euforica di energia, dove le quattro interpreti, vestite di rosso, in un’alternanza quasi frenetica, saltano, corrono, si accasciano, si risollevano in un turbine vitale e frenetico. Una metafora della vita che diventa vortice e gara emozionante contro la morte, dove la vertigine della fine stessa ci porta a voler sempre correre all’impazzata senza fiato, a vivere ogni momento come se fosse l’ultimo istante. WEIRDOIl senso di inadeguatezza: l’unico, vero ostacolo di qualunque forma di rapporto, compreso quello con se stessi. Chi, nella propria vita, non ne è mai stato pervaso? Quella particolare sensazione di sentirsi fuori posto, diverso, a volte sbagliato, giudicato, e spesso anche incompreso. Ci si può sentire come immersi nella nebbia, o come se ci fosse un velo o una parete di vetro tra sé e il mondo circostante. Spesso questo stato deriva dalla voglia di soddisfare le aspettative degli altri. Sentire tutto l’enorme peso del rischio, della paura di fallire e del giudizio, del vedersi come un incapace, un impostore, una delusione. Partendo da queste sensazioni Enrico Morelli presenta un brano che vuole portare sulla scena questo stato di alienazione prendendo ispirazione non solo dal suo vissuto personale, ma anche da quello degli interpreti.
UNO NESSUNO E CENTOMILA

Ironico, grottesco, capace di mettere in crisi la società borghese del primo novecento questo è stato ed è tutt’ora la forza di Uno nessuno e centomila. L’ultimo dei romanzi di Pirandello, è denso di enigmi, e secondo lo stesso autore esso è «sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e la sorgente di quello che farò». In una lettera autobiografica, Pirandello lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista Vitangelo Moscarda è forse uno dei personaggi più complessi della produzione pirandelliana: “prima impacciato e prigioniero delle opinioni altrui, poi sempre più consapevole e determinato a cercare l’autenticità spirituale dell’esistenza, fino all’affrancamento finale da tutte “le rabbie del mondo”. Un giorno, accorgendosi casualmente che il suo naso pende verso destra, incomincia a percorrere un viaggio scoprendo ogni giorno che passa di non essere, per gli altri, quello che crede di essere. Il protagonista, incontrando e confrontandosi con una miriade di personaggi, cercherà di distruggere le molte immagini che gli altri vedono di lui, fino a diventare aria, vento, puro spirito. Un lavoro rivoluzionario, soprattutto per i tempi in cui fu scritto, che tocca temi estremamente attuali come il rapporto con la natura, con una spiritualità negata dalla società e dalla convenienza, la ricerca spasmodica di se stessi. Un testo che nella sua modernità sorprende, soprattutto oggi, nell’analisi dell’istituto bancario e dell’impatto che lo stesso ha sul tessuto sociale. Un impianto scenografico in movimento, un gruppo di cinque straordinari attori e l’umorismo tipico in Pirandello, ci racconteranno questa storia ancora oggi di grandissima attualità.
IL GRANDE VUOTO

Il Grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto, affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano, Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale. Questo dissolversi, è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre, una ex attrice, colpita da una malattia neurodegenerativa alla quale rimane progressivamente solo il ricordo del suo cavallo di battaglia, un monologo tratto da Re Lear. Un prosciugarsi a cui fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa di famiglia, che al contrario si popola di oggetti, di ricordi che aumentano, pesano e riempiono tutte le stanze. Come scrive Linda Dalisi “il vuoto non è il nulla, è uno stato fisico che gorgoglia”. Il lavoro trova risonanze e spunti in Una donna di Annie Ernaux, e nel romanzo Fratelli di Carmelo Samonà e in I cura caridi Marco Annicchiarico. È il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore. Nello spettacolo, la narrazione teatrale si contamina con il video per raccontare che, grazie alle fotocamere e i loro video ad alta risoluzione con visione notturna fino a trenta piedi, un* figli* può continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie, pezzi di carta, mutande sporche, per poi rimetterli dentro. Le usano per i cani ma la madre non ha ancora iniziato ad abbaiare.Il Grande Vuoto è l’ultimo capitolo de La trilogia del vento in cui Fabiana Iacozzilli si interroga sulle grandi tappe dell’esistenza umana come opportunità generative: l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere nel pluripremiato La classe_undocupuppets per marionette e uomini; la maturità, la genitorialità e il riuscire a prendersi cura, protagonisti de Una cosa enorme e, infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria, indagati ne Il Grande Vuoto.
LA GRANDE MAGIA

Calogero Di Spelta, marito tradito, con la sua mania per il controllo e la sua incapacità di amare e fidarsi, diventa uno specchio delle sfide e delle difficoltà dell’uomo contemporaneo nell’ambito delle relazioni. Ne risulta un uomo con la costante esigenza di aggrapparsi a certezze granitiche, a costo di rinchiuderle simbolicamente in una scatola: il luogo sicuro. Dall’altro lato, Otto Marvuglia, mago e manipolatore, dalle facce sempre diverse ed interscambiabili che modificano il contesto e la percezione della realtà. Smarriti i personaggi, smarriti gli spettatori, smarriti gli uomini e le donne di oggi, smarriti nelle relazioni, smarriti nel continuo fondersi del vero e del falso. Cosa è vero? Cosa è falso? La Grande Magia è un testo complesso, ha l’ampiezza e lo sguardo del gran teatro ed allo stesso tempo offre sfumature nere della nostra umanità, tratti psicologici addirittura espansi nella nostra società contemporanea o almeno di cui siamo più consapevoli, rispetto al 1948, anno in cui andò in scena per la prima volta suscitando reazioni controverse e per lo più negative, poiché il testo non fu capito ed apprezzato. Come sappiamo per Eduardo quella fu una profonda delusione, fu accusato di imitare Pirandello o più semplicemente, ci fu quella resistenza che sempre riscontra un grande artista quando prova ad esplorare nuovi orizzonti. Il fatto che Eduardo stesso abbia vissuto l’amarezza dell’incomprensione del pubblico rivela quanto questo testo sia intriso di profondità e potenzialità per raccontare le nostre emozioni, le nostre incertezze e le nostre ossessioni attuali. Questa commedia nera, a tratti drammatica, così ambigua e scivolosa, non ristretta al discorso sulla famiglia, priva di retorica, sospesa fra realtà e finzione, fra fede e disillusione, teatro e vita, vero e falso. Gabriele Russo
SANGHENAPULE

In uno spettacolo che intreccia il racconto alla poesia, esaltando la lingua napoletana in tutta la sua barocca bellezza, Mimmo Borrelli e Roberto Saviano, puntano al cuore di Napoli, città di sangue e di lava incandescente, esplorandone il mistero e la contraddizione. Attore e narratore percorrono alcune tappe della storia napoletana in una continua osmosi tra celeste e sotterraneo. È il sangue il filo conduttore di uno spettacolo di parole, luci e suoni, con una splendida colonna sonora originale eseguita dal vivo. È il sangue che si scioglie, rinnovando ogni anno il patto tra il santo e la sua gente; è il sangue dei primi martiri cristiani, ma anche quello dei “martiri laici” della Repubblica partenopea, che a fine Settecento tentò di opporre l’ideale democratico all’oppressione borbonica; è l’emorragia dell’emigrazione nei primi decenni del Novecento, quando migliaia e migliaia di italiani varcarono l’oceano in cerca di un futuro migliore; è il sangue versato sotto le bombe della Seconda Guerra mondiale; è, infine, quello degli agguati di camorra. In uno spettacolo che intreccia la narrazione alla poesia, esaltando la lingua napoletana in tutta la sua barocca bellezza, Mimmo Borrelli e Roberto Saviano, puntano al cuore di Napoli, città di sangue e di lava incandescente, raccontandone il mistero e la contraddizione.
AMLETO²

Lo spettacolo è molto più di una rivisitazione della tragedia shakespeariana: è un gioco teatrale anarchico, una miscela esplosiva di comicità surreale e dramma intimo, dove la follia creativa di Filippo Timi unita alle incredibili interpretazioni degli attori, trasforma il classico shakespeariano in un cabaret esistenziale, contemporaneo e vibrante, capace di colpire, emozionare e sorprendere. Il Principe di Danimarca di Timi è folle, vitale, pop, fuori dagli schemi, desideroso di liberarsi di un destino che sembra incombere, Gertrude (Lucia Mascino) diventa una madre feroce capace di scuotere dalle viscere un figlio inerme, Ofelia (Elena Lietti) innamorata e perduta, trova la forza di raccontare il suo dramma negli ultimi attimi prima di annegare; intorno a questi personaggi shakespeariani irrompono il fantasma del padre di Amleto con le sembianze di Marilyn Monroe (Marina Rocco) e una soubrette in crisi, stanca di combattere per ruoli che la società le impone. Amleto² segna il ritorno di un gruppo di lavoro – già straordinario 15 anni fa – che si ritrova con un bagaglio di esperienze, collaborazioni e successi che ne hanno arricchito le prospettive e affinato le capacità interpretative. Questo incontro rinnovato non celebra solo un grande successo del passato, ma una vera e propria rigenerazione della sua potenza. Gli attori, con il loro percorso maturato in teatro, cinema e televisione, si rimettono al servizio di un testo che, proprio grazie a loro, viene amplificato ed elevato, trovando nuovi livelli di profondità e vitalità. Amleto² è stato 15 anni fa il debutto teatrale come regista di Filippo Timi, rivelando fin da subito un talento straordinario. È sorprendente riscoprire oggi come, nonostante fosse alla sua prima esperienza registica, Timi sia riuscito a creare uno spettacolo animato da una forza vitale travolgente e da una libertà espressiva fuori dal comune, sicuramente fuori dagli schemi teatrali.