MUSEO PASOLINI

Secondo l’ICOM (International Council of Museums) le 5 funzioni di un museo sono: ricerca, acquisizione, conservazione, comunicazione, esposizione. Come potrebbe essere un museo Pier Paolo Pasolini? In una teca potremmo mettere la sua prima poesia: di quei versi resta il ricordo di due parole “rosignolo” e “verzura”. È il 1929. Mentre Mussolini firma i Patti Lateranensi, Antonio Gramsci ottiene carta e penna e comincia a scrivere i Quadreni dal Carcere. E così via, come dice Vincenzo Cerami: “Se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini dalla prima poesia che scrisse quando aveva 7 anni fino al film Salò, l’ultima sua opera, noi avremo il ritratto della storia italiana dalla fine degli anni del fascismo fino alla metà degni anni ’70. Pasolini ci ha raccontato cosa è successo nel nostro paese in tutti questi anni”. Ascanio Celestini ci guida in un ipotetico MUSEO PASOLINI che, attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto, ma anche di chi l’ha immaginato, amato e odiato, si compone partendo dalle domande: qual è il pezzo forte del Museo Pasolini? Quale oggetto dobbiamo cercare? Quale oggetto dovremmo impegnarci a acquisire da una collezione privata o pubblica, recuperarlo da qualche magazzino, discarica, biblioteca o ufficio degli oggetti smarriti? Cosa siamo tenuti a fare per conservarlo? Cosa possiamo comunicare attraverso di lui? E infine: in quale modo dobbiamo esporlo?
DON’T KILL THE GROOVE

Situazioni sociali in cui regna una cieca allegria e ci domandiamo quanto sia reale o apparente. Il bisogno umano di crederci, sperando che a furia di fingere quella felicità diventi reale. Trovarsi in un luogo luminoso al centro della pista, essere sul pezzo ma qualcosa non torna. Come rapportarsi e vivere quella sensazione di malinconia quando il resto della pista invece sorride. Semplicemente e letteralmente con un filtro. Indossi una maschera luccicante e ci riprovi un’altra volta. Il ritmo e una danza quella travolgente per ritrovare la leggerezza, perché come ci insegna Calvino la leggerezza può salvarci. Don’t kill the groove è una working-in progress su tre personaggi alla ricerca di un groove individuale che si incontra e scontra in uno spazio comune: la pista da ballo. Il groove è quella capacità che hanno alcuni brani di coinvolgere l’ascoltatore tramite il ripetersi di una soluzione a livello ritmico, non a caso in inglese “to groove” significa anche divertirsi. Il divertimento é una delle tematiche chiave sviluppate nel lavoro, istituendone un aspetto drammaturgico.
PUNCH 24

La fine è il principio e il principio è la fine. Punch24 è un cammino circolare che vede la prima e l’ultima tappa incidenti ma non coincidenti, una successione di scene indipendenti, un gioco di entrate e uscite, un botta e risposta tra i due danzatori. È un cerchio, un percorso che si conclude solo una volta tornati al punto di partenza e che contiene al suo interno infinite strade e suggestioni. Lo spettacolo è la ricerca di Roberto Tedesco riguardo tutto ciò che possiamo trovare all’interno di una forma, la consapevolezza che ogni movimento, ogni suono, ogni sguardo possa essere mutevole ed infinitamente moltiplicabile.
SYMPOSIUM / Barletta

Davide Valrosso incontra un musicista/artista di strada della città che ospita la performance. In una condizione piuttosto radicale, ma anche di estrema semplicità, Symposium affonda la sua radice nel valore della scrittura istantanea. Gli artisti e le artiste di strada sono detentori di una chiave dell’esperienza urbana unica e preziosa, capace di tessere fili di relazioni intense con gli e le abitanti nel persistere quotidiano nei luoghi, una sorta di appuntamento sospeso per giorni, che crea un’aspettativa e una narrazione frammentaria e senza sviluppo lineare, ma generatrice di significati in cui il contenuto artistico è strumento attivatore, in cui le musiche suonate sono solo un pretesto. L’atto artistico è soprattutto la loro presenza e la delicata tela di queste aspettative.
REGENLAND – Elogio del buio

Con Regenland, che potrebbe essere tradotto dal tedesco come paese della pioggia, provo a dare un nome all’immaginario interiore nel quale si sviluppa questo percorso. Toni plumbei e zone di penombra caratterizzano questo sfondo emotivo, che nulla ha però di malinconico, triste o nostalgico, ma indica più che altro il desiderio di voler eludere il bagliore delle cose per volgere lo sguardo altrove, lì dove la luce non penetra così facilmente. Lo potrei paragonare a un rito di esfoliazione: levare via i miei strati luminosi accumulati nel tempo per cercare un confronto con l’oscurità, guidata dal presentimento che solo una volta che il visibile è svanito, l’invisibile può rivelarsi. Attraverso questo processo intendo celebrare il caos, affrontare le piccole morti e, addentrandomi nelle crepe del mio essere, scendere nel punto più buio dove sorge la luce.” – Elisabetta Lauro –
MBIRA

Quanto ha contribuito l’Africa a renderci quelli che siamo? Per molti secoli europei e arabi hanno esplorato, colonizzato e convertito ogni angolo del pianeta. Oggi tante culture sono perdute e quella occidentale è diventata per molti versi il riferimento universale. Mbira è il nome di uno strumento musicale dello Zimbabwe ma anche il nome della musica tradizionale che con questo strumento si produce. “Bira” è anche il nome di una importante festa della tradizione del popolo Shona, la principale etnia dello Zimbabwe, in cui si canta e balla al suono della Mbira. Mbira è però anche il titolo di una composizione musicale del 1981 intorno alla quale è nata una controversia che ben rappresenta l’estrema problematicità e complessità dell’intrico culturale e morale che caratterizza i rapporti fra Africa ed Europa. Mbira è insomma una parola intorno a cui si intreccia una sorprendente quantità di storie, musiche, balli, feste e riflessioni su arte e cultura che fanno da trama ad uno spettacolo che, combinando stili e forme, partiture minuziose e improvvisazioni, scrittura e oralità, contemplazione e gioco, ha come inevitabile epilogo una festa.
LA GRAZIA DEL TERRIBILE

Un percorso di trasformazione di un corpo che traccia il proprio viaggio attraverso pulsioni uguali e contrarie: da un lato scultura in movimento che intensifica e dilata la durata del gesto naturale creando infinite geometrie sulle quali però non si sofferma. Dall’altro un organismo enigmatico che si contorce, si incrina, si plasma, in balìa delle sue possibilità di metamorfosi. Un corpo che si modifica nel tempo, che passa dalla concretezza del presente, dalla logica della carne, a pulsioni fuori controllo, per arrivare ad un corpo alla deriva, proiettato verso il desiderio, verso un altrove. Il processo di ricerca che ha portato a questo solo è un percorso meditativo, fatto di concentrazione continua e di attenzione al dettaglio, che tenta di mettere in forma le inquietudini e le contraddizioni che ci abitano, che tenta di cogliere quell’energia vitale che cerca di sopravvivere in un cambiamento di forme continue che scivolano nello spazio.
GIANNI – PASQUALE

Gianni-Pasquale, 46 anni, sessualmente ambiguo, cocco di mama, forse lunatico, definitivamente disturbato. Disperatamente innamorato e amante di essere disperato. Senza filtro, lui, senza limiti di generosità, infligge alla sua amante un’infusione del suo tormento. “Cara Maruzza, Ti scrivo questa lettera perché ti apprezzo davvero tanto. La prima volta che ti ho vista, il mio cuore mi ha indelicatamente sussurrato “è lei”. Il modo in cui mi solletichi i baffi, il modo in cui mi fissi. Mi rendi palpitante. Mi piacerebbe, se me lo concedessi, di darti il mio fiore.” Gianni-Pasquale, una lettera d’amore per una bambola gonfiabile.
SUL ROVESCIO

Sul Rovescio è una raccolta di performance in cui sperimento le possibilità del movimento guidato “dal retro del corpo”. Non vedo dove sto andando e di fronte a chi sono. Percepisco lo spazio attraverso il tatto e l’animazione di una maschera posizionata sulla nuca: il mio doppio volto, una sorta Eaunus/Giano che incorpora in un unica figura il pupazzo e il manipolatore, per cui “Ho” il corpo e “Sono” il mio corpo; La scrittura e l’interpretazione devono confrontarsi con la peculiarità della maschera di rovesciare la meccanica fisica del corpo: Devo specchiare continuamente la mia percezione per costruire una logica immaginifica, e una coerenza nell’animare il rovescio del corpo. Come se fossi nello spazio inaccessibile dello specchio, come se fossi dove non posso trovarmi. Questa fatica per rendere credibile la maschera modifica l’interpretazione e la narrazione. Perciò la maschera è una vera e propria protesi del mio corpo, ne modifica l’azione fisica e l’emissione vocale (catturata e elaborata dal musicista) ne deforma la logica fisica in posture deviate, in una confusione di direzioni e di rapporti fisici, in spinte, slanci e forze in conflitto, che spezzano la metrica del movimento, e allo stesso tempo io divento una parte della maschera, ne provoco le espressioni con la pressione della schiena, degli arti e con gli inciampi.
OPENING
Restituzione finale del workshop coreografico*** a cura di Mauro de Candia Workshop coreografico dal 26 al 28 aprile, a cura di Mauro de Candia, finalizzato alla creazione della performance OPENING, con la partecipazione Silvia Calorio, Noemi Cassanelli, Ilaria Davvanzo, Marianna de Fazio, Grazia Di Cataldo, Maria Filannino, Flora Gargano, Paola Lasala, Monica Mango