LA DIVINA SARAH

Nel diciannovesimo secolo, una famigerata attrice francese, divenne nota come “The Divine Sarah”: Sarah Bernhardt, The First Artist Superstar. Ma era più di una semplice “superstar” era un essere incredibile, un’anima meravigliosa. Sarah Bernhardt nacque in Francia nel 1844, figlia illegittima di una cortigiana, , era destinata a condurre una vita normale. Il suo progetto originale di essere una suora, non era il percorso che sua madre, importante cortigiana parigina, immaginava per lei, ma Sarah, con il sostegno dei suoi mecenati, divenne un’attrice. “Divina” agli occhi di Oscar Wilde, “Voce d’oro” per Victor Hugo, “mostro sacro” del teatro francese per usare l’espressione scelta da Sacha Guitry, la grande tragica Sarah Bernhardt ispira “Memoir” al drammaturgo John Murrell, da cui è tratto il testo di Eric Emmanuel Schmitt.

LA BATTAGLIA DI CERIGNOLA

Nel 1503 sorse una disputa tra francesi  e spagnoli poichè i primi rivendicavano il controllo della Capitanata dove transumavano le greggi provenienti dall’Abruzzo, mentre gli spagnoli ritenevano che la Capitanata facesse parte della Puglia da loro governata. Si cercò di trovare un accordo su tale questione, ma l’impossibilità di riuscirci portò alla Battaglia del 28 aprile 1503. Nella vicina Cerignola del XVI secolo la vita del popolo era basata fondamentalmente sul lavoro nei campi. Vita molto umile e fatta di miseria. In tutto questo però quattro ragazzi vivevano la loro gioventù comunque in maniera spensierata e passionale, ignari di quello che da lì a poco sarebbe successo. Zelindo, Cleofelia, Coldimiro e Despina abituati a una vita piena di stenti trovavano conforto nelle belleze della natura che li circondava e nell’amore che provavano l’un per l’altra. In tal senso c’era però un ostacolo da superare, la madre di Cleofelia non condivideva una eventuale relazione di sua figlia con Zelindo, ragazzo all’apparenza molto libertino. Tutto questo si svolgeva sotto gli occhi degli uomini del’esercito francese presenti a Cerignola, i quali non disdegnavano di fare apprezzamenti per le belle popolane del luogo e, in particolar modo, per Cleofelia e Despina. Tale atteggiamento non poteva che scatenare profonda gelosia nell’animo di Coldimiro e Zelindo, nonchè rabbia in tutto il popolo. Anche per questo motivo i cerignolani nel momento della battaglia si schierarono con gli spagnoli considerati come dei liberatori. Il 28 aprile 1503  a Cerignola lo scontro ebbe il suo momento cruciale. A dispetto della lieve sproporzione delle forze in campo in favore dei francesi, il condottiero spagnolo Consalvo da Cordova poté contare su diversi vantaggi che seppe sfruttare pienamente a suo favore. Egli aveva schierato in maniera opportuna i suoi pezzi d’artiglieria che si riveleranno fondamentali, oltre a poter contare sulle nuove unità di fanteria chiamate Coronelías, armate di picche, archibugi e spade, un armamento misto che si diversificava molto da quello classico adottato fino ad allora dagli spagnoli. In uno degli attacchi il Duca di Nemours, comandante dei francesi, venne ucciso scatenando il panico tra le file dei Galli. Ciò costrinse alla ritirata i francesi proprio nel momento in cui la fanteria spagnola iniziò a caricare a sua volta, determinando la totale disfatta dei francesi. A battaglia finita il popolo di Cerignola esultò al fianco degli spagnoli, i quali grazie a tale vittoria conquistarono definitivamente il controllo sul regno di Napoli.

GRACES

Graces è un progetto di performance ispirato alla scultura e al concetto di bellezza e natura che Antonio Canova realizzò tra il 1812 e il 1817. L’ispirazione è mitologica. Le 3 figlie di Zeus – Aglaia, Eufrosine e Talia – erano creature divine che diffondevano splendore, gioia e prosperità. In scena tre corpi maschili, tre danzatori (Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo) dentro un’opera scultorea che simboleggia la bellezza in un viaggio di abilità e tecnica che li porta in un luogo e in un tempo sospesi tra l’umano e l’astratto. Qui il maschile e il femminile si incontrano, lontano da stereotipi e ruoli, liberi, danzando il ritmo stesso della natura. In scena anche l’autrice Silvia Gribaudi che ama definirsi “autrice del corpo” perché la sua poetica trasforma in modo costruttivo le imperfezioni elevandole a forma d’arte con una comicità diretta, crudele ed empatica in cui non ci sono confini tra danza, teatro e performing arts.

VITE SPEZZATE

Una porta, un custode silenzioso, una sala d’attesa. Un alternarsi di uomini che aspettano di oltrepassare la soglia. Suoni indistinti, bagliori lontani, avvolgono le voci rotte che raccontano le loro storie tutte diverse eppure tutte tragicamente uguali. Brandelli di vita consegnate all’uomo della porta che annota i dettagli in cambio di un sorso di acqua dell’oblio. Quell’oblio necessario per non essere più, per non avere più, per andare al di là della porta. Un affresco di storie dolorose, di vite spezzate, consegnate a tutti noi per non dimenticare.

JAMES IS BACK

Il 4 giugno 2021 è uscito JAMES IS BACK, ventunesimo disco di James Senese. Il sassofonista partenopeo, classe 1945, è da oltre cinquant’anni sulla scena divenendo un’icona artistica che dall’alto dei suoi 77 anni è ancora un punto di riferimento per le nuove generazioni musicali che vogliono urgenza espressiva e zero compromessi. In più di mezzo secolo di carriera Senese ha attraversato generi, epoche, mode, senza lasciarsi mai corrompere in nome del mercato. I suoi numi tutelari sono Miles Davis e John Coltrane. La sua granitica coerenza artistica e intellettuale sonofamose come il suono del suo sax. Passando per i seminali Showmen con Mario Musella, i Napoli Centrale (tuttora la formazione che lo identifica), le collaborazioni con l’indimenticabile l’amico Pino Daniele ma anche il sodalizio artistico e fraterno che lo ha legato a Franco Del Prete, James Senese ha suonato e cantato i vinti, quelli che non hanno mai avuto voce. Lui gliel’ha data, con l’energia e la rabbia del suo sax e della sua voce, che hanno contraddistinto la sua produzione, fatta di coraggio e determinazione: quella di un “Nero a metà.

PEPPE BARRA IN CONCERTO

In  questo spettacolo emerge la straordinaria abilità di Peppe Barra nel creare un personalissimo tempo artistico in cui presente, passato e futuro si annullano per dare vita ad  uno spettacolo unico e appassionante in cui protagonista è come sempre la versatilità interpretativa di Barra che con l’energia travolgente che lo caratterizza, restituisce allo spettatore un repertorio che parte dalla contaminazione di brani della tradizione di autori come  Leonardo Vinci, Ferdinando Russo, E. A. Mario,  a composizioni più recenti di autori  come Pino Daniele, Bob Marley, Enzo Gragnaniello, fino ad arrivare a composizioni contenute  nel suo ultimo lavoro discografico dal titolo “Cipria e caffè” di autori contemporanei quali Gnut e Toto Toralbo.  I testi costruiscono con la musica, architetture sonore con il blues, il jazz, riuscendo a far convivere suoni antichi e moderni, tammurriate ed arie del Settecento. La forza della parola, gli accenti sospesi del suo dialetto diventano la viva e palpitante materia sonora che caratterizzano questo spettacolo con il sostegno di musicisti straordinari che da lungo tempo sono i suoi compagni di viaggio. Personaggio sempre autentico, nella vita e sulla scena, artista puro, trasmette al suo pubblico un magma incandescente di emozioni dalla risata più sonora alla commozione più autentica.

INDAGINE SU ALDA MERINI: NON FU MAI UNA DONNA ADDOMESTICABILE

Ci sono Poeti che sono essi stessi Poesia. Sono quelli che sono stati in grado di conservare occhi puri, capace di meravigliarsi davanti ad ogni nuovo giorno e coraggiosi abbastanza da accoglierlo, comunque vada, come un dono. Son diventati poeti ché nessuno se l’aspettava, han fatto le ore piccole sui libri e per ogni strada, hanno osato sfidare la consuetudine trovando più gioia nel becco di un uccello che incontra una ciliegia e nel suo industriarsi per portarla al nido – han fatto il tifo per lui ad ogni tentativo di volo e di certo qualche ciliegia in tasca da quel giorno l’han portata anche loro – mentre tutt’intorno la gente si veste, si trucca e si candida al buon posto, al buon partito eccetera. La gran parte della gente è troppo presa dai propri commerci per far caso a quelli come loro che non sgomitano, non pretendono che sia riconosciuto loro il dovuto tributo. Non gliene frega niente. Son votati ad altro, hanno posato lo sguardo altrove: quel che conta per loro si manifesta ogni giorno in forme sempre nuove in ogni angolo e val la pena raccontarlo per chi nel frattempo era distratto ma poi capisce e vuol vedere anche lui. Ecco forse il poeta non è altro che qualcuno che si gode la vita per come gli arriva, che non si ferma a domandare da che parte arriva il male ma lo sa attraversare e in qualche modo impara persino a riderne. Ma che non si dica che il poeta è ‘un lavuranò’, uno sfaccendato, perché siamo al cospetto di donne e uomini che hanno portato avanti un mistero, un groviglio di emozioni necessarie, che hanno messo al servizio i loro occhi, le loro mani, le loro voci e tutte le parole e tutto il tempo che ci vuole per dar vita ad un sogno entro il quale chiunque di noi può decidere di passeggiare, di intrattenersi solo ancora un po’, o di rimboccarsi le maniche e contribuire a tenerlo su: come un ponte, come una delle colonne d’Ercole, verso quel che non c’è ma che nel suo manifestarsi ha la potenza di un concentrato di vita con tutte le sue luci e le sue ombre, i suoi attimi memorabili, i suoi eroismi e le sue notti insonni.

LA BOHÈME

L’entusiasmo, la passione, l’amore e le delusioni del gruppo di bohémienpiù famoso della storia dell’opera. Il passaggio dalla giovinezza spensierata alle responsabilità dell’età adulta in un capolavoro senza età, dolcissimo e crudele al tempo stesso, capace di emozionare e commuovere da sempre. L’opera integrale di Giacomo Puccini in una messinscena diretta, avvincente e cinematografica pensata per tutti i tipi di teatro: un pianoforte e un cast di artisti di eccezionale valore per uno spettacolo fuori dagli stilemi del tradizionale, ma pienamente fedele alla drammaturgia musicale pucciniana, senza tagli e senza compromessi. Per dimostrare che l’opera è un linguaggio straordinario e universale, capace di mutare forma e sostanza senza tradire la sua essenza e rinnovandosi, divenendo attuale e contemporanea. Protagonista una nutrita compagnia di cantanti/attori, talenti già affermati a livello nazionale sotto la guida del soprano Amelia Felle e del regista Giancarlo Nicoletti.

PIERINO IN JAZZ

Lo spettacolo è una versione jazzistica per piccolo gruppo e voce recitante di ‘Pierino e Il lupo’, cui segue uno spazio gioioso di improvvisazione, con testi poetici scritti per l’occasione e commentati al momento dai musicisti, e un multi-finale scritto dai bambini delle quarte elementari delle scuole De Amicis, Collodi e Moro di Acquaviva delle Fonti (durante un laboratorio) anch’esso arricchito da improvvisazioni e alcune musiche composte appositamente dallo stesso Fioravanti.  La sfida è stata tanto per la musica che per il testo quella di mantenere inizialmente l’architettura di partenza, col testo della favola praticamente intatto e le melodie originali rispettate anche se assegnate a strumenti diversi e soprattutto sapientemente manipolate da musicisti abituati a usare materiale delle più svariate provenienze miscelandolo fino ad ottenere nuovi suoni, nuove strutture, nuove fragranze musicali. Ci sono poi le variazioni sul tema, intrecci nuovi, parole che emozionano e improvvisazioni. Il risultato è un mix di leggerezza, allegria e intensità, nel connubio tra la storia fanciullesca di un bambino che non ha paura e l’intreccio tra melodie epocali, testi lirici scritti da Silvana Kühtz e il loro incontro in tempo reale con l’improvvisazione. 

MI CHIAMO LUIGI

A distanza di 55 anni dalla sua scomparsa carica di misteri, Luigi Tenco fa ancora parlare di sé e non manca mai di riempire le pagine dei giornali e le trasmissioni televisive. Ennio Morricone descrisse così Luigi Tenco: l’artefice della migliore musica autoriale italiana. Ma Tenco fu anche un precursore della rivoluzione culturale e sociale che nel 1968, un anno dopo la sua morte, segnò un radicale cambiamento della musica leggera italiana. Questo spettacolo a lui dedicato non vuole solo celebrare le sue creazioni musicali ma anche raccontare l’uomo al di là del personaggio, la sua anima e soprattutto la sua levatura morale e la sua correttezza professionale. Una persona perbene e ricca di valori che per amore si trovò a confrontarsi e a scontrarsi con le complicate dinamiche commerciali di una discografia che gestiva la musica leggera italiana e i suoi indotti, festival incluso. Questo racconto musicale ricostruisce anche alcune tappe delle indagini relative alla morte dell’artista ancora avvolta nel mistero, suggerendo al pubblico una verità scomoda e drammatica che ancora sconcerta giornalisti, familiari e amici di uno dei cantautori più innovativi della musica italiana. “Mi chiamo Luigi” è uno spettacolo musicale che grazie alle note alle immagini e alle parole dipinge il ritratto di uno dei più originali e innovativi musicisti italiani,ma soprattutto il carattere poliedrico e catartico di un uomo onesto verso se stesso e verso il suo pubblico.